…passavo per caso, e ricordavo una specie di invito a vedere le foto di Luisa Salerno, fotografa di Padova, la mia città. Entro in questo locale e tutto sembra magicamente combinarsi. Autunno, anche un po’ nebbioso, un posto accogliente, una città dai tratti indefiniti. Tutto sembra voler stringere un’affettuosa complicità con le fotografie che vedrai.
Affettuose, come un’abbraccio, queste sono immagini che ti cullano, sono le foto che chiunque vorrebbe in giro per casa, sanno di caminetto, di un vecchio maglione che non vuoi buttare, di chiacchiere tra amici, di sapori grossolani, ma necessari.
Luisa Salerno tratta il tema del gioco, di giochi un po’ antichi ma fondamentali, foto di particolari che ti portano a rivedere “quei giochi di un tempo” da angolazioni intime, vicine, spesso vicinissime. L’angolo sgualcito di una vecchia carta da gioco, l’accento sulla “o” di Monopoli, la preoccupante e vicinissima presenza di quei mezzi di guerra che ti fecero sentire padrone di un mondo da conquistare a suon di dadi e cannonate.
Queste immagini hanno quasi sempre un duplice linguaggio, sono idee che sottoporrei volentieri ai miei allievi dei corsi, lo dico per un motivo semplice; sembra infatti che Luisa voglia portarti a cogliere una duplice modalità di approccio a quei giochi. Ecco che gli “shanghai” ti appaiono nella severità di un’ordine matematico e precisissimo, ma anche in un intricato mondo di luci ed ombre, ecco poi due diverse immagini con le carte da gioco, severissime e perfettamente incasellate, ma anche sgualcite, con angoli che raccontano strette di mani rugose, grida di vittoria, imprecazioni, piccoli bicchieri di vino scadente. Lo stesso vale per quei piccoli cerchi colorati (lo ammetto non so come si chiami QUEL GIOCO!) incasellati perfettamente in un ordine plastico, in una trama poi distrutta dalla prospettiva colorata e sfuocata di un’immagine successiva ed adiacente. Due versioni, diverse, amichevoli.
Lo penso da sempre, la prima cosa che il nostro occhio incontra, all’interno di una macchina fotografica, è uno specchio. Componi una fotografia di ritratto ma, è un dato di fatto, in quel ritratto ci sei anche tu, e la magia della fotografia in perenne trasformazione si perpetra di nuovo. Così succede a Luisa Salerno, fotografa giochi, e finisce per giocare con la fotografia.
Ho una piccola osservazione: non credo di offendere l’autrice, e nemmeno di ferirla: in questo universo di colori, quella foto in bianco e nero, con quella preoccupante prospettiva sulle pedine, dà un po’ l’impressione di essere fuori contesto. Ripeto, si tratta di un’impressione puramente personale.
Mostra consigliabile. Anche dal punto di vista didattico.
Bel lavoro. Brava!