Rapido volo a bassa quota su articoli di riviste, blog ed articoli vari, nulla di interessante, non trovo condivisione, sembro essere solo, in questa necessità di risposte. Lo stimolo del giorno, nello scrivere qualche riga, nasce dal fatto di ritrovare nell’entusiasmo di amici, quella bella voglia di trascinare con me la reflex a visitare musei, pinacoteche, luoghi d’arte.
Fotografare l’arte. Perché l’ho fatto? Perché si fa, in generale?
Scorro con la memoria l’istante in cui l’indice destro esitò nell’attimo dello scatto di una foto all’opera d’arte che più mi abbia commosso in assoluto. Un pensiero lungo, credo, meno di un centesimo di secondo.
Fulminea, pesantissima., una domanda….perchè sto scattando foto alla pietà di Michelangelo? Cosa ne otterrò? Come mai potrò raffigurare in una foto un’opera che, di per se è già perfetta?
Mi serve come ricordo? Ha senso? La ritrattò per intero o ne coglierò qualche particolare? Che significato ha, cercare di “riassumere” in una porzione d’immagine, l’essenza di un concetto così complesso?
E così cerco altre risposte, cerco chi possa aver già percorso questo ragionamento, per vedere a che punto di possa mai essere arrivati, prima di me. Trovo formule che spiegano concetti di definizione di aperture diaframmatiche (orrore), altre banalità legate al “come fare” a fotografare opere d’arte.
La fotografia di opere d’arte ha già un proprio percorso naturale, nelle cartoline, la foto scattata alla Pietà di Michelangelo è assolutamente identica alle migliaia di altre che si ottengono scrivendo “Pietà di Michelangelo” in un qualsiasi motore di ricerca. Eppure, quel giorno scattai quella foto. Una foto che non stamperò mai, che ogni tanto guardo da vicino, che percorro, pixel per pixel, per vederne i particolari, che ho voluto scattare con definizioni incredibilmente alte, pur di “rubare” uno stralcio di verità più esteso possibile, una foto a cui ho cercato di dare dimensione come potevo ma che resta severamente identica a mille altre.
Traggo da questo una conclusione piuttosto triste, credo. Ho sbagliato foto.
Fotografare un’opera d’arte (sto parlando per il mio modo di intendere la cosa), ha senso solamente se la nostra foto riesce a riassumere l’emozione che quest’opera ci trasmette, il che è ben diverso dal mettere l’oggetto d’arte nella nostra immagine, perché si tratterebbe di una mera riproduzione di ciò che già c’è, è esposto e, posto che questa foto possa essere vista da chiunque altro, difficilmente potrebbe aggiungere valore espressivo ad un oggetto già esistente.
Scatto una foto ad un oggetto d’arte per ricordarlo, e riguardarlo un giorno in cui, ad esempio , la mostra non ci sarà più. In questo caso ha senso mostrare un oggetto, con la propria interezza, anche a persone che non abbiano visto la stessa mostra.
Forse, ancora una volta, la risposta a tutto questo sta nella storia dell’arte. Fotografia, pittura e scultura, dalla metà del 1800 in poi, hanno trovato un linguaggio comune proprio per questo, la fotografia ha aiutato vari artisti a fissare una posa, un soggetto da dipingere o da scolpire. Ebbene oggi, sempre secondo me, il fatto di porsi di fronte ad un’opera d’arte e volerla catturare con la nostra macchina fotografica ci aiuta a comprendere meglio l’oggetto stesso. Prima di scattare ci domandiamo: Perché voglio fare una foto? cosa mi emoziona di quest’opera? come farò a riprodurre quest’emozione? cosa ho notato e cosa voglio trasmettere a chi guarderà questa foto?
Fotografare…non è una bella avventura?
Alvise Garbin, per quinteffetto.it – blog di fotografia