A riflettori spenti, dopo che tutto è passato, dopo che la cronaca dei fatti, col suo rumore, il fragore, la violenza che spesso caratterizza questo mondo è passata, mi permetto un commento, una riflessione, una domanda. E’ dovere di un blog di fotografia e quinteffetto non è da meno.
Ho guardato e riguardato quella foto, la foto del bimbo morto sulla spiaggia, icona drammatica del problema dei migranti che in questi anni sta interessando le coste europee. Da fotografo mi chiedevo semplicemente una cosa: avrei scattato questa foto? Dopo aver dimostrato riguardo, pudore, etica e volontà di rispettare i limiti, la fotografia di cronaca, oggi, varca l’ultima delle frontiere, si getta rapidamente ed inesorabilmente nelle mani della narrazione giornalistica e, con un’esposizione che ricorderemo, propone un’immagine violentissima. Non solo la morte, di fonte ai nostri occhi, ma la morte di un bimbo, forse abbandonato sulla sabbia di una spiaggia.
Efficace, giornalisticamente parlando, non vi è dubbio. Questa foto ha scosso le menti di chi regola la politica internazionale, pertanto non lascia indifferente proprio nessuno.
Ma dal punto di vista fotografico? Varcata oggi questa nuova frontiera….cos’altro ancora potremo aspettarci?
Quale altro orizzonte della verità potrà mai rappresentare la fotografia?
Testimone di questo evento epocale, confuso non poco dal ruolo che questa volta la fotografia ha dovuto sopportare, mi chiedo tantissime cose: avrei pubblicato questa foto? L’avrei certamente scattata, ma poi? L’avrei inviata al giornale? Sarei felice di essere il fotografo che ha scattato l’immagine tra le più famose del momento? E’ una notorietà di cui si può godere, questa?
La fotografia è nata per questo, per testimoniare, raccontare, rimanere viva nella verità degli eventi, ma riesco solo a pensare che, in questo caso, sia servita per rendere famoso un giornalista la cui contentezza ha senso, ha scritto qualcosa che ha saputo scuotere gli animi dei potenti, ha supportato la propria teoria con una foto importante. Buon per lui, laddove le parole scritte da un giornalista riescono a colpire nel segno, c’è una foto, anch’essa in grado di andare a fondo, ma c’è una diversità nel punto di fuoco: è giusto che parole pesantissime possano echeggiare laddove potranno suscitare un’emozione in grado di cambiare le opinioni, ma è altrettanto difficile accettare il nuovo ruolo della fotografia che, con un movimento “di servizio” all’atto giornalistico, ha dovuto varcare una soglia mai vista prima. C’è da chiedersi se l’articolo avrebbe avuto lo stesso peso, senza quella foto. Chissà.
Non riesco ad aggiungere altro. Povero bimbo inconsapevole, mi spiace per te, davvero.
Alvise Garbin per quinteffetto.it, blog di fotografia